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L’ATTENZIONE

Molti addestratori e cavalieri non danno sufficiente importanza all’argomento dell’attenzione, finendo per rovinare anche un lavoro tecnicamente corretto.

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Si sa che l’attenzione non è eterna. Vale per gli esseri umani, così come per i cavalli e l’argomento è più profondo di quanto si creda. Spingere un cavallo oltre la sua soglia di attenzione, senza rendersi conto di aver superato il limite, porta l’animale a rifiutare il lavoro ogni giorno di più e logora il rapporto creato con lui. Al cavaliere spetta di riuscire a capire quando il proprio compagno a quattro gambe è in attenzione, quando è distratto o quando è giunto alla sua stanchezza mentale. Compito non facile e che richiede una buona dose di osservazione. Ma vediamo di fare un po’ di chiarezza. Nel metodo ATH l’attenzione ha un posto dedicato nel terzo step, ovvero dopo aver ottenuto la movimentazione e la fermata dei piedi del cavallo. Normalmente questi primi due step, se ben fatti, convincono il cavallo a portare l’attenzione su di noi e a focalizzare i suoi sforzi sul cercare di comprendere le nostre richieste. Questo avviene in quanto gli abbiamo dimostrato, usando un linguaggio ed una mimica a lui comprensibile, di aver le capacità di gestire un branco. Il più delle volte un atteggiamento di attenzione è facilmente riconoscibile: le orecchie sono ben dritte e puntate su di noi e i suoi occhi non perdono un nostro movimento (foto1). Già nello svolgimento del primo step possiamo vedere la crescita dell’attenzione, grazie allo spostamento dell’orecchio interno verso di noi (foto2), mentre nel secondo step, subito dopo la fermata, il cavallo volge lo sguardo verso il cavaliere (foto3), fino a quando l’atteggiamento non diventa stabile e costante. Tutta-via non tutti i cavalli si comportano nello stesso modo. Alcuni soggetti richiedono del tempo per aver la loro attenzione. Altri, di carattere timido o introverso, si chiudono in sé stessi, quasi impermalositi dalla richiesta (foto4). Altri ancora rimangono in attenzione solo se siamo entro un certo raggio di distanza, mentre altri, all’opposto, non riusciranno a concentrarsi se siamo troppo ravvicinati, a causa di una serie di reazioni emotive di tensione al loro interno. Se ci pensiamo bene, non sono così diversi dagli esseri umani. Come dicevamo, però, l’attenzione non è eterna e, dopo un periodo, tende a calare, fino a spegnersi. Si potrebbe delinearne un grafico tempo – attenzione, dove la curva dell’attenzione parte da zero, cresce in una sorta di riscaldamento mentale, raggiunge un picco, per poi iniziare a calare e tornare a tendere a zero (foto5). Di nuovo, il paragone con l’attenzione umana è immediato: al mattino un impiegato necessita di un po’ di tempo, magari di un caffè, prima di poter dare il massimo impegno sul lavoro. Arriverà ad un picco di concentrazione, che dopo alcune ore comincerà a calare, fino a svanire verso fine giornata. Si sa che le peggiori scelte vengono fatte ad inizio e a fine giornata, quando la mente è meno lucida. La stessa cosa si riflette nel mondo equino: se vogliamo insegnare al nostro cavallo, dobbiamo imparare a riconoscere la fascia più alta della curva di attenzione e a concentrare i nostri sforzi in quel lasso di tempo. Per poter permettere al cavallo di raggiunge-re la sua massima operatività, è quindi fondamentale iniziare con esercizi semplici e non impegnativi, rendendoli mano a mano più complessi, fino ad arrivare al nuovo esercizio. Questo è il percorso migliore. Il riscaldamento fisico che facciamo per non sottoporre ad eccessivo stress la muscolatura, lo facciamo a livello mentale in questa maniera. E, di nuovo come per la muscolatura, dopo lo sforzo intenso ci sarà la fase di defaticamento, con esercizi leggeri e ben conosciuti. Affrontare in maniera cosciente la mente del cavallo, gli permette di assimilare rapidamente i concetti e di limitare l’opposizione all’apprendimento. Nel lungo periodo, questo approccio porta a migliorare la curva dell’attenzione, allungando il tempo di picco, quindi permettendoci di lavorare più a lungo sui nuovi esercizi. Viceversa, il non rispetto della curva di attenzione, porta l’animale a disinteressarsi al lavoro, in quanto i suoi sforzi di apprendimento non trovano appagamento, ma anzi, diventano frustranti. Come per noi esseri umani, quando l’attenzione cala, si è portati a fare maggiori errori, anche su cose banali. Nel lavoro con il cavallo, questa situazione porta allo scontro cavallo-cavaliere. Il primo sarà sconfortato dal non riuscire a capire la richiesta del cavaliere e nella stanchezza inizierà a confondere anche gli esercizi più semplici; il secondo perderà via via la pazienza, vedendo l’animale peggiorare, invece che migliorare. Si innesca così un meccanismo a catena distruttivo. Il persistere di questa situazione porterà il cavallo a rinunciare all’impegno, vedendolo sostanzialmente inutile e a chiudersi giorno dopo giorno in sé stesso, quindi verso la sua meccanicità. Purtroppo nel mondo agonistico si vedono moltissimi cavalli in questo stato mentale. La vecchia scuola ribadiva di non scendere da cavallo fino a quando non si aveva ottenuto un risultato, anche se fosse stato necessario rimanere in sella ore ed ore. Fortunatamente anni fa conobbi un addestratore americano, che sull’argomento mi disse: “C’è sempre domani”. Mi ci volle qualche anno per capire cosa voleva dire, ma ad oggi sono soddisfatto di aver fatto mia questa filosofia. Rispettare i tempi di attenzione di un cavallo ed insegnare solo nel picco di impegno, significa motivare l’animale. Quando si finisce una sessione di lavoro in maniera positiva, non vuol dire che si è riusciti ad insegnare una cosa nuova al cavallo, ma significa aver approcciato l’esercizio nei tempi di attenzione da lui dedicatici. Se impareremo a farlo, anche qualora il cavallo non avesse imparato l’esercizio, la sua mente lo affronterà in maniera serena e positiva. Probabilmente alla sessione successiva, l’animale avrà elaborato al meglio l’esercizio e non ci dovremo stupire se improvvisamente lo sapesse anche già fare. Con il rispetto della curva di attenzione, dovremo tenere a mente anche altri fattori che possono influire, come per esempio l’età, il luogo di lavoro, le esperienze passate del cavallo, l’indole, la razza e la tipologia di lavoro (foto6). Per l’età vale il concetto come per l’essere umano: più giovane è il soggetto, minore sarà la sua capacità di attenzione. Ad inizio lavoro un puledro ci riuscirà a dedicare solo pochi minuti di concentrazione (foto7). Il luogo di lavoro può permettere al cavallo di concentrarsi o di avere distrazioni. Un prato aperto sarà molto più incline alla distrazione di un tondino chiuso (foto8). Il passato del cavallo influisce, in quanto un cavallo ormai diventato meccanico, quindi poco disponibile a concentrarsi, sarà difficile da coinvolgere. L’indole ci può indicare la stabilità dell’attenzione: un soggetto molto istintivo si distrarrà al minimo rumore o movimento esterno e andrà richiamato spesso. La razza può incidere sull’indole e sulla capacità di concentrazione. Infine la tipologia di lavoro: un lavoro monotono e ripetitivo porta il cavallo a spegnersi mentalmente e a non partecipare attivamente con il cavaliere. È quindi fondamentale essere vari negli esercizi e cercare di osservare quando un esercizio è ormai solido e conosciuto, evitando di ripeterlo inutilmente. In tutti questi numerosi dettagli non esiste una sola ed unica tecnica, ma spetta al cavaliere imparare a leggere i segnali inviati dal cavallo. Spetta al cavaliere capire se ha raggiunto la soglia di attenzione o se il cavallo si è semplicemente distratto e basta richiamarlo alla concentrazione. Non tutti si prefiggono di avere un cavallo attento. Per alcuni è preferibile il cavallo meccanico, che non vuole essere coinvolto. Pensiamo ai cavalli scuola, ai cavalli da passeggiata per turisti o principianti. In tal caso il lavoro da fare con loro è l’esatto inverso di quello che abbiamo qui descritto. Sono scelte personali, mirate alla nostra visione di equitazione.

 

STANCO O DISTRATTO?
Riconoscere un cavallo mentalmente stanco da uno distratto non è sempre semplice, specialmente se non conosciamo bene l’animale o non abbiamo molta esperienza. Proviamo tuttavia a delineare alcune caratteristiche. Il cavallo stanco avrà lo sguardo spento, non mostrerà molto entusiasmo nelle richieste e ci accorgeremo che saremo costretti ad aumentare le pressioni per mantenere il ritmo di lavoro prefissato. Il cavallo distratto sarà invece discontinuo nell’esecuzione degli esercizi, talvolta brillante, talvolta svogliato. Spesso un cavallo distratto lo si recupera variando gli esercizi, senza annoiarlo eccessivamente su uno di questi, ma magari ritornandoci dopo alcune variazioni. Alcuni soggetti sono svogliati cronici ed in tal caso dobbiamo, durante il lavoro, effettuare dei veri e propri richiami all’attenzione, come se fossimo degli insegnanti con un alunno indolente. Un colpetto alla redine o un tocco di gamba possono riportare lo svogliato in concentrazione. Se durante il lavoro il cavallo ci sembra concentrato, ma sbaglia anche esercizi semplici, probabilmente siamo andati oltre la sua soglia di attenzione. Analizziamo anche l’atteggiamento del cavallo una volta finito il lavoro: se lo vediamo vivace e pieno di energie, forse in campo non era stanco, ma solo annoiato o distratto. Se invece lo vediamo godersi il meritato riposo in rilassatezza, vuol dire che siamo arrivati al giusto limite di attenzione.

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