La capezza è lo strumento che usiamo per accompagnare il cavallo nella gestione a mano, ma non è quello il suo solo compito.
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L’uomo primitivo non deve aver impiegato molto a capire che controllando il naso del cavallo sarebbe riuscito a controllarne la direzione ed è così che nacquero probabilmente le prime capezze. All’inizio saranno state fatte con delle corde grezze, poi nel tempo si è passati al più raffinato ed elegante cuoio. Successivamente ci si è evoluti al più economico ed alla portata di tutti nylon, per poi tornare di nuovo alla corda. La capezza si è sviluppata nei millenni, ma il concetto è rimasto pressoché immutato. Essa rimane uno strumento di controllo e conduzione del cavallo, quindi non da meno è uno strumento di comunicazione tra uomo e cavallo. In alcune culture si utilizza un collare al posto della capezza, come nella monta californiana, allo scopo di preservare la sensibilità del naso, la quale servirà invece poi per il controllo in sella tramite il bosal. Tuttavia la maggior parte dei cavalieri si affida ancora alla capezza, o cavezza come viene anche chiamata. Vediamo perciò di spendere qualche parola per questo strumento di uso quotidiano del quale spesso se ne ignorano le molteplici funzioni, le regole di utilizzo e di come effettivamente agisce sulla testa del nostro amico a quattro gambe.
TIPOLOGIE
Ad oggi la capezza più diffusa è quella in nylon. Il mix di resistenza, lavabilità, praticità, sicurezza ed economicità la rendono la più adatta alla gestione quotidiana. Essa regge bene a medie pressioni date dalla conduzione e dalla gestione del cavallo, come accompagnarlo o girarlo alla longia. Inoltre la sua larghezza non la rende eccessivamente fastidiosa per l’animale. Non di rado all’interno vi sono delle imbottiture per evitare fiaccature, dovute alla frizione del materiale sintetico con la pelle. Ganci, moschettoni ed anelli la rendono pratica per agganciarla, aprirla, adattarla in tutta comodità e in tempi molto brevi. La gamma di colori e fantasie è praticamente infinita, per qualsiasi gusto. Inoltre molte di esse sono costruite per rompersi ad una eccessiva trazione, in modo da non ferire il cavallo in situazioni di panico. Sono perciò moltissime le qualità a favore di questa tipologia, che ha rimpiazzato la vecchia capezza in cuoio, la quale è tuttavia sopravvissuta in alcuni ambiti. La capezza in cuoio ha certamente un’eleganza impareggiabile, è molto resistente ed il suo aspetto, abbinato a degli argenti decorativi, la rendono adatta alle gare di estetica e morfologia. Rispetto alla capezza in nylon, però, richiede più cure ed attenzione, in quanto il cuoio, con il passare del tempo, tende a seccarsi, divenire ruvido e il rischio di rottura o di fiaccare il cavallo a questo punto è reale. Segue la capezza in corda, nelle sue varianti. Tale capezza è realizzata in corda tecnica resistente, con dei nodi posizionati in modo da agire su punti sensibili al fine di gestire la forza del cavallo. Il diametro della corda ne indica la severità: più è sottile, più è severa. Non a caso è anche detta capezza d’addestramento. Alcuni modelli sostituiscono i nodi con complesse lavorazioni della corda o con dei tondi metallici, ma il concetto rimane lo stesso. Per concludere, un modello al limite della categoria è quella dei capezzoni, da doma o maremmani, entrambi usati principalmente nella doma e nell’addestramento del cavallo.
ABITUAZIONE
Il puledro dovrebbe essere abituato fin da subito a questo oggetto che gli cinge la testa e dal quale non può liberarsi. Più tardi si effettua questa operazione, più difese si incontreranno. Le capezze in nylon all’inizio sono le migliori, non creando inutili pressioni e si rompono in caso di pericolo. Per abituare un puledro alla capezza converrebbe innanzitutto ottenere la fiducia dello stesso, con i lavori di avvicinamento della prima fase del metodo ATH, qualora non si fosse ottenuta fin dalla nascita standogli vicino e creando una forma di imprinting. Successivamente si deve desensibilizzare la faccia ed il collo del puledro con la lunghina, toccandolo, facendola scorrere un po’ ovunque. Pian piano poi si passa ad infilare il naso del puledro nella capezza. Una volta agganciata, il puledro farà qualche storia sentendosi questo strano oggetto e non potendo toglierselo di dosso. Lasciamolo fare per un po’, tenendolo sotto controllo la situazione. Alcune filosofie propongono di lasciare la capezza per giorni e giorni, con una lunghina corta attaccata, in modo da abituare il puledro. Personalmente ritengo questa pratica pericolosa e preferisco un approccio quotidiano per l’accettazione dello strumento. Una volta che la capezza viene accettata, si deve insegnare al puledro che questa strana cosa applicherà delle pressioni che dovrà imparare a seguire senza opporsi e questa sarà la parte addestrativa che la riguarda.
ADDESTRAMENTO
Il quarto step del metodo ATH è tutto dedicato all’insegnamento della gestione delle pressioni esercitate dalla capezza. Insegnarle al cavallo, significa poterlo controllare da terra, oltre ad ottenere una collaborazione attiva con lo strumento. Durante l’apprendimento si utilizza una capezza d’addestramento ATH, che permette di applicare pressioni in determinati punti sensibili, con l’obiettivo di evitare che il cavaliere eserciti un’eccessiva forza. Una volta insegnate le pressioni, ci si aspetta che il cavallo impari a rispettare qualsiasi tipologia di strumento di controllo del suo naso. I punti di pressione, dove la capezza andrà ad agire, sono: ai lati, dove i nodi laterali premono sugli zigomi, dietro la nuca e sopra il naso, dove gli ulteriori due nodi premono sulle fosse nasali (foto5). Anche la posizione della capezza è fondamentale: essa dev’essere appena più in basso rispetto agli zigomi, in modo che la sua pressione si scarichi sull’osso sottostante. Se si lasciasse la capezza troppo lasca, l’azione dei nodi si avrebbe sulle cartilagini, con il pericolo di danneggiarle, essendo delicate. Si comincia quindi dalla prima pressione: quella laterale.
Mettendoci al fianco del cavallo, all’altezza del garrese, esercitiamo sulla lunghina una leggera pressione verso il lato in cui siamo. La nostra mano si muoverà verso la direzione dove sarà l’ideale mano di un cavaliere in sella, in modo da preparare poi il cavallo al futuro lavoro in sella. All’inizio il cavallo non capirà, cercando soluzioni diverse alla pressione che sente sul lato del suo naso, abbassando la testa, alzandola, opponendosi alla pressione o muovendosi. Quello che dobbiamo fare è mantenere quel livello di pressione che abbiamo applicato, adattandoci ai movimenti del cavallo, senza lasciargli via d’uscita se non quella di portare la sua testa verso di noi. Ad ogni miglioramento, rilasceremo la pressione e ricominceremo. Non cerchiamo mai di aumentare la nostra forza, in quanto inizieremo un braccio di ferro con il cavallo, nel quale l’animale imparerà solo a combattere contro la richiesta. L’unico momento in cui saremo autorizzati ad aumentare la pressione sarà quando il cavallo si rifiuterà di trovare una soluzione al problema. In tal caso aumenteremo all’improvviso la pressione con un colpo secco, in modo da riportarlo in attenzione e convincerlo a ricercare una soluzione. Dopo di che la pressione tornerà ad essere estremamente bassa. Ci aspettiamo che il
cavallo segua la nostra mano al minimo tocco. Lavoriamo su entrambi i lati e ci accorgeremo che un lato sarà più flessibile ed uno più rigido: rientra nella normalità che un lato sia preferito dal cavallo, quindi più usato e ginnasticato. Una volta ottenuto questo risultato, proveremo ad effettuare lo stesso esercizio, ma in maniera inversa: ci porremo da un lato del cavallo e, dopo aver passato la lunghina dal lato opposto e quindi sopra il garrese, gli chiederemo di flettere la sua testa in direzione opposta a noi, con lo stesso schema di prima. Questo perché alcuni cavalli credono di dover serguire il cavaliere sentendo la pressione esercitata sul naso, invece di cedere alla richiesta della capezza. Questo esercizio convince loro che è la pressione che sentono a dominare sul cavaliere, nel senso che devono seguirla, indipendentemente dalla posizione del cavaliere. Prestate attenzione a quando il cavallo inizia a girare su sé stesso durante questo esercizio, in quanto vi potrebbe venire addosso. Siate pronti a rilasciare
leggermente, senza rilasciare del tutto. Se decideste di tirare di più, rischiereste di essere spinti a terra dal cavallo o di ricevere un calcio, visto che vi ritroverete proprio dietro di lui. Fate molta attenzione a quelle che chiamo le false flessioni: il cavallo potrebbe girare il naso verso di voi, ma con la nuca potrebbe puntare ancora altrove. In tal caso non sarà il naso a dare la sua direzione, ma la nuca. La vera flessione avviene a livello del collo, perciò la testa dell’animale dovrà essere quasi sulla verticale del terreno. Una volta ottenute queste cessioni laterali, andremo a lavorare su quelle verticali. La prima riguarda la pressione sulla nuca. I puledri di solito imparano a rispettare questa pressione fin da giovani, nella conduzione e stando legati. Tuttavia non è male ripassarla e rinforzarla. Applichiamo una leggera pressione verso il basso, afferrando il nodo della capezza o il moschettone della lunghina. Come prima, in caso di risposte errate, attendiamo che il cavallo trovi il rilascio di pressione. In caso di assenza di qualsiasi risposta, aumentiamo improvvisamente la pressione, richiedendogli uno sforzo mentale. Nel caso invece di opposizione alla pressione, tipica dei cavalli che tendono a tirare da legati o a impennare, mettiamo una mano sulla sua nuca ed esercitiamo una pressione crescente con le dita, fino ad ottenere una minima cessione, per poi ricominciare dall’inizio. Vi ricordo di non stare mai di fronte al cavallo durante questo esercizio, in quanto potrebbe essere pericoloso. Possiamo arrivare a chiedere una cessione fino a che il naso del cavallo non sfiori il terreno. Un ultimo esercizio riguarda la pressione della capezza nella parte superiore del naso. Questa pressione richiede al cavallo di cedere ad essa portando il naso al petto e, perciò, di indietreggiare. Lo svolgimento dell’esercizio è sempre lo stesso: si prende la capezza dal nodo o dal moschettone, si applica una leggera pressione verso il petto e si rilascia al minimo accenno di passo indietro. All’inizio non ci preoccuperemo se la testa non cederà verso il basso, se tuttavia otterremmo dei passi indietro. In un secondo momento, cominceremo invece a richiedere anche questa cessione. Non pretendete di far fare al cavallo molti passi indietro senza rilasciare mai la pressione, altrimenti imparerà ad opporsi alla capezza. Rilasciate ad ogni passo. Quindi per ottenere più passi indietro non farete altro che dare dei piccoli contatti ripetuti sulla capezza. Un contatto, un passo. In questo modo avremo insegnato al cavallo a seguire tutte le pressioni esercitate dalla capezza e potremo applicarle in esercizi avanzati più complessi.
IL BUONSENSO
Qualunque sia la capezza che utilizziate, valgono sempre le regole del buon senso. Queste righe non dovrebbero nemmeno esser scritte, ma quel che ho visto fino ad oggi mi impone di fare alcune raccomandazioni. In primis, la capezza non va mai lasciata al cavallo a paddock o in box, a meno che non sia per pochissimo tempo ed in maniera controllata. Se c’è un problema di recupero dell’animale, va risolto. Non è tenendo la capezza che il problema scompare. La sua pericolosità è evidente in caso di impiglio in qualche ramo o struttura, oppure nel caso in cui il cavallo si volesse grattare, rimanendo incastrato con il piede o il ferro. In particolar modo le capezze in corda non si rompono, anche in caso di forte trazione. Il cavallo potrebbe ferirsi gravemente, soffocarsi e morire. Le capezze d’addestramento sono fatte per lavorare. Sono altamente sconsigliate in tutte le altre situazioni, a meno che non stiate facendo un lavoro specifico. A lungo andare il cavallo ne verrebbe desensibilizzato ai nodi, rendendole inutili. Nel caso decideste di lasciare la capezza ai puledri al pascolo (cosa che sconsiglio comunque), controllate di tanto in tanto che lo sviluppo del puledro non sia maggiore della dimensione della capezza. Non accompagnate i cavalli tenendoli per la capezza, anche se vi fidate: basterebbe una paura improvvisa per finire trascinati con loro. Legate un cavallo ai due venti solo se siete consapevoli del fatto che è stato abituato in passato. Non legate un cavallo in trailer senza aver chiuso il blocco posteriore. Non girate il cavallo in corda rimanendo appesi alla lunghina o alla longia, perché insegnerete al cavallo a spingere contro la capezza. Non è la severità della capezza che insegna al cavallo, ma sarà la vostra capacità di rilascio della pressione. Controllate sempre che la vostra capezza sia pulita, integra e che non rischi di fiaccare il cavallo, oltre al fatto di essere della dimensione giusta per il cavallo. Gli agnellini che ricoprono le capezze in nylon proteggono il cavallo da queste fiaccature, ma solo se sono puliti. Inoltre gli offrono una morbida base di appoggio, quindi sono inadatti al lavoro da terra o per girarlo alla longia. Le capezze in corda hanno dei nodi che agiscono in punti sensibili, perciò le capezze in corda senza nodi o rivestite di agnellino sono assolutamente inutili. Se non avete idea di come funzioni una capezza d’addestramento in corda, usate una capezza classica. Controllate in fase di acquisto che il materiale del prodotto, qualunque esso sia, sia di buona qualità. Risparmiare pochi euro per poi dover chiamare il veterinario, non ne vale la pena. Il buon senso deve sempre prevalere in tutte le situazioni per la sicurezza nostra e del cavallo.
MONTARE IN CAPEZZA
Si può montare in capezza? Certo, è possibile se al cavallo è stato insegnato a rispettare tutte le pressioni esercitate da una capezza ed è controllabile tramite le stesse. Lo si può fare per verificare la leggerezza nei comandi o la fluidità nelle risposte. Tuttavia vi ricordo che, secondo il codice della strada (art. 184), sul suolo pubblico siete responsabili dei danni causati dal vostro cavallo. Perciò se uscite in passeggiata in capezza e perdete il controllo dell’animale, non varrà l’attenuante del caso fortuito, in quanto, per la legge, non avrete adottato tutti i sistemi di controllo previsti, quindi sarete completamente colpevoli e responsabili dell’accaduto.
USI PARTICOLARI DELLA CAPEZZA
Durante la mia esperienza ho visto molti modi diversi di utilizzare la capezza per gestire il cavallo. Vediamone alcuni:
• Passaggio della lunghina sul naso, tramite gli anelli laterali della capezza: sistema utilizzato per migliorare il controllo del cavallo irrispettoso della capezza. Sistema veloce per una correzione sul momento, ma non risolve la questione del controllo della capezza.
• Uso della catena con capezza: se serve nel caso di cavalli che tendono a mordere la lunghina, lo consiglio come metodologia risolutiva. In molti altri casi viene usato con gli stalloni, passando la catena sul naso, in bocca, ecc. Come sempre c’è la ricerca di una soluzione veloce ad un problema, ma di fatto non si arriva mai alla radice della problematica stessa, ma solo ad una toppa per nasconderla.
• Passaggio della lunghina dietro la nuca: il problema di solito qui è la flessione laterale, quindi si porta la pressione alla nuca, per ovviare alla mancanza di controllo laterale.
• Passaggio della lunghina nella bocca: sistema estremo di controllo, sintomo di una grossa mancanza di rispetto da parte del cavallo e di un addestramento molto povero.